HABITAT

24/04/2024 - 30/06/2024

Il 24 aprile la Momart Gallery inaugura negli spazi espositivi di piazza Madonna dell’Idris, nel Sasso Caveoso, la mostra collettiva “Habitat” . Curata dalla storica dell’arte Simona Spinella e realizzata in collaborazione con la galleria Gallerati di Roma, la mostra coinvolge 19 artisti italiani, tra cui figurano Alberto Timossi e tre artisti lucani, Luca Centola, Rossella Barbante e Antonio Teora, che presenteranno le proprie opere in un percorso espositivo altamente suggestivo,  in cui la contemporaneità dei lavori si fonde con l’antichità della pietra, in un gioco di pieni e vuoti che rompe gli schemi di una narrazione lineare, lasciando lo spettatore libero di esplorare scenari dallo stile unico. Trasformazione, doppio, corpo, casa, ancestrale, paesaggio e mimesi, acqua e tempo lento sono i temi che hanno ispirato gli artisti accuratamente selezionati da Carlo Gallerati e dalla direttrice artistica della Momart Monica Palumbo. Tematiche che tratteggiano scenari diametralmente opposti in cui ogni linea, ogni tratteggio, ogni pennellata, ogni forma, racconta una dimensione intima e personale che attraverso uno sguardo attento e curioso si può cogliere nella sua interezza.

La mostra resterà aperta fino al 30 giugno. Opening 24 aprile ore 18.

Testo critico di Simona Spinella

HABITAT

Il titolo della collettiva HABITAT è un verbo, è il presente indicativo di abitare; indica esattamente uno stato o un avvenimento presente. Ogni artista è la terza persona singolare del tempo verbale, quindi ognuno di loro abita.

Nel mettere in pratica la scelta, tra le opere degli artisti suggeriti da Carlo Gallerati e degli altri proposti da Monica Palumbo, ho studiato l’esposizione come fosse uno spazio di libera riflessione intorno a forme espressive differenti, ma al contempo dialoganti tra loro.

Lo spazio espositivo non è semplicemente un contenitore, ma diventa ambiente naturale, un ambiente sociale in cui l’intervento collettivo produce una relazione di prossimità, generando un contesto umano. Un insieme di micro racconti dell’abitare che dimorano nello spazio che li accoglie. La Momart Gallery quindi non è solo uno spazio ospitante, ma ha nella sua natura architettonica insita la parola Habitat.

Gli elementi che si incontrano, si incrociano e coabitano nei diversi ambienti dislocati in nicchie e rientranze naturali sono: i luoghi, i paesaggi, le case, la natura, i corpi, la materia, i tessuti, gli stati d’animo. Tutti mutamenti che si dipanano lungo il percorso espositivo e generano piccoli insiemi di intersezione.

TRASFORMAZIONE

Con Ivana Galli (I passaggi, dalla serie E-migrazioni, 2016) le migrazioni scandiscono la nostra esistenza, e per questa ragione è necessario sapere dove si è, quali sono i confini, i limiti, le possibilità̀, che generano tale movimento. Cosa sente, e cosa muove la nostra esistenza. Le migrazioni sono spesso intime, individuali, ma inevitabilmente divengono collettive; l’habitat si trasforma.

DOPPIO

Nella relazione tra le opere di Letizia Marabottini (Solco (l’odore della terra che mi manca),2024) e Alberto Timossi (Contraccolpo, 2020) predomina l’idea del positivo e del negativo, che in Timossi si fa scultura e per la Marabottini è grafia di luce. Nell’opera di Timossi il bianco e il nero lavorano per contrapposizione, per contrasto o per antitesi tra materie. Il PVC nero, il vuoto, è colpito dal pieno del marmo bianco. Per la Marabottini, la stampa in bianco e in nero è un espediente tecnico per accentuare il concetto di solco, di profondità. Il dittico risulta quindi essere la frammentazione di un corpo, un’interruzione il cui processo creativo, quasi un rituale per l’artista, ci restituisce, attraverso l’utilizzo della fotografia digitale, delle percezioni multisensoriali accentuate dal processo percettivo.

CORPO

Lungo il muro di sinistra, la sequenza delle opere ci parla del corpo come lo spazio che abitiamo. Nell’opera di Maria Semmer (Heimkommen, 2020), che letteralmente significa “Tornare a casa”, un corpo accovacciato in un nido, un uovo, simboleggiano la casa. L’habitat è lo spazio in cui lasciarsi andare, ricaricarsi, quasi rinascere. Federica Luciani (Anima & Animus, 2023), nella dualità del titolo, nei corpi aggrovigliati e uniti sino a diventare un unico habitat, c’è un riferimento al pensiero junghiano per cui l’Anima è la componente femminile presente nell’uomo, mentre Animus rappresenta il suo opposto. L’anima abita nel corpo, si fa doppio.

CASA

Nella piccola nicchia di sinistra, quasi un’alcova, le opere di Vincenzo Monticelli Cuggiò (Aiuola, 2010 – 2012) e Angela Maria Piga (Casa, 2023) sono accomunate dall’istintività e dall’essere pezzi unici. Per la Piga, l’unicità sta nell’aver iniziato a realizzare sculture in ceramica come arte terapia dal 2017. Monticelli Cuggiò dal 2010 sceglie di realizzare le sue opere fotografiche in esemplare unico. Aiuola quindi ci appare come uno sguardo in lontananza, una separazione tra l’artista e il curatore. Le opere di Piga e Monticelli Cuggiò dialogano, è evidente, per attribuzione visiva.

ANCESTRALE

Nello spazio accanto, le opere di Federica Rugnone (L.U.C.A., Last Universal Common Ancestor – I , 2021) e Antonio Teora (Netra, 2024) sono accomunate dalla forma del cerchio: la composizione ha un equilibrio armonico e colloquia con la forma che la contiene. Entrambe ci spingono a concentrare il nostro sguardo, come se stessimo analizzando dei vetrini al microscopio. Ci invitano a individuare l’origine e l’originalità, a posare lo sguardo sui fatti umani, con una visione ancestrale e primordiale.

PAESAGGIO E MIMESI

A seguire, il nucleo di opere in dialogo, ci parlano di mimesi, natura e paesaggio. Le opere di Alessandro Antonucci (Paesaggio 4, 2017) e Luca Centola (Sale, 2019) sono accomunate dall’habitat come paesaggio. Antonucci rileva, registra le tracce dei fenomeni naturali, il suo Paesaggio 4 è la ricostruzione di una rappresentazione stratigrafica di uno spazio geografico. Centola, archeologo industriale, estrae dall’opera I’m Lucky, realizzata per il progetto A_Head a cura di Piero Gagliardi, l’opera Sale. Nella sua successione fotografica, una vera e propria stratificazione naturale, i cumuli di sale, si fanno strato, sono particolari da vicino e lontano di un paesaggio che si offre come un habitat in abbandono. Nelle opere di Lucilla Candeloro (Lichene n. 11, 2020) e Paola Marzano (Il Velo di Maya, 2012) l’habitat è una seconda pelle. Un piccolo cubo di plexiglass custodisce la scoglia di una vipera, è una sorta di reliquia, è ciò che rimane di un cambiamento, di una rigenerazione, di una trasformazione. I licheni della Marzano ci appaiono e sono artisticamente realizzati come fossero una seconda pelle vicina a un’idea di mimesi o la definizione di una simbiosi di sostanze che ne assicurano la reciproca sopravvivenza.

ACQUA

Nell’ultima rientranza a destra, le quattro opere di Francesca De Rubeis (Untitled,2021), Gaia Adducchio (Acquatica, Untitled (55 – 20), 2023), Anna Maria Angelucci (Osmose, 2022) e Rossella Barbante (Assente Nel Momento In Cui Occupavo Più Spazio, 2023) sono caratterizzate dall’habitat dei corpi d’acqua e delle sorgenti. Gli habitat acquatici sono acque ferme, correnti, sono sorgenti, sono spazi distesi. Nei singoli habitat la natura dell’acqua, con la luce che si riflette su di essa, ci offre una tonalità diversa, una densità materica diversa, una gamma cromatica rassomigliante. Si determina quindi, un micro habitat nel cui spazio il colore ha un ruolo importante. Ha la funzione di strutturare l’habitat e consente a chi lo fruisce di abitare una dimensione percettiva in cui il colore ci ricollega ai sensi, ai ricordi e all’identificazione con il nostro intimo, a un personale e soggettivo habitat culturale.

TEMPO LENTO

Uscendo a destra si incontrano le ultime due opere, di Consuelo Mura (Resilientia Naturae, 2023) e di Daniela Di Maro (Conservo parole dolci per un altro mondo, 2024), caratterizzate dall’abitare il tempo lento dei telai. Per la Mura, il telaio è un oggetto attorno al quale si generano parole, che divengono la trama di racconti tra madri, figlie e nipoti, l’insieme di fili che con quelli dell’ordito concorrono nel formare un tessuto di sapere antico. Nel telaio da melario della Di Maro, le parole sono contenute, si fanno dissenso. Il telaio è l’operosità ingannata e sfruttata da parte dell’uomo per trarne profitto.

Simona Spinella

On April 24, Momart Gallery inaugurates the collective exhibition “Habitat” in the exhibition spaces of Piazza Madonna dell’Idris, in the Sasso Caveoso. Curated by art historian Simona Spinella and realized in collaboration with Galleria Gallerati in Rome, the exhibition involves 19 Italian artists showcasing their works in a highly evocative exhibition path, where the contemporaneity of the works merges with the antiquity of the stone, in a play of solids and voids that breaks the schemes of a linear narrative, leaving the viewer free to explore scenarios with a unique style. Transformation, duality, body, home, ancestral, landscape, mimesis, water, and slow time are the themes that have inspired the artists carefully selected by Carlo Gallerati and Momart’s artistic director, Monica Palumbo. Themes that outline diametrically opposed scenarios in which every line, every stroke, every brushstroke, and every shape tells an intimate and personal dimension that can be fully grasped through a careful and curious gaze. The exhibition will remain open until June 30.

Opening: April 24th at 6 pm.